Della tolleranza universale
Non serve una grande arte, un’eloquenza assai raffinata, per dimostrare che i cristiani si devono tollerare gli uni gli altri. Mi spingo oltre: vi dico che bisogna considerare tutti gli uomini come nostri fratelli. Cosa?! Un turco, mio fratello? Mio fratello, un cinese? Un ebreo? Un siamese? Sì, certamente; non siamo tutti figli dello stesso padre e creature del medesimo Dio?
Però questi popoli ci disprezzano; però loro ci trattano da idolatri! Ebbene, dirò loro che hanno torto. Mi pare che potrei almeno meravigliare l’orgogliosa perseveranza di un imam o di un monaco buddista se gli parlassi pressapoco così:
“Questo piccolo globo, che non è che un puntino, gira nello spazio, così come tanti altri pianeti; noi siamo persi in questa immensità. L’uomo, alto circa cinque piedi, è sicuramente poca cosa nella creazione. Uno di questi esseri impercettibili dice a qualcuno dei suoi vicini, in Arabia o in Cafraria: ‘Ascoltami, perché il Dio di tutti questi mondi mi ha illuminato: ci sono novecento milioni di piccole formiche come noi sulla terra, ma solo il mio formicaio è caro a Dio; tutti gli altri gli sono in orrore dall’eternità; esso sarà l’unico felice, e tutti gli altri saranno disgraziati in eterno'”.
A quel punto mi interromperebbero e mi chiederebbero chi è il pazzo che ha detto questa stupidaggine. Sarei costretto a rispondere: “Voi medesimi”. Proverei allora ad ammansirli; ma questo sarebbe molto difficile.
Parlerei poi ai cristiani e oserei dire, ad esempio, a un domenicano inquisitore della fede: “Fratello mio, voi sapete che ogni provincia d’Italia ha il suo dialetto e che a Venezia e a Bergamo non si parla affatto come a Firenze. L’Accademia della Crusca ha codificato la lingua; il suo dizionario è una regola da cui non ci si deve discostare, e la grammatica di Buonmattei è una guida infallibile che bisogna seguire; ma credete che il console dell’Accademia e, in sua assenza Buonmattei, avrebbero potuto in coscienza far tagliare la lingua a tutti i veneziani e a tutti i bergamaschi che avessero perseverato nel loro dialetto?
L’inquisitore mi risponde: “C’è una bella differenza; qui si tratta della salvezza della vostra anima: è per il vostro bene che il tribunale dell’inquisizione ordina che voi siate arrestato a seguito della deposizione di una sola persona, fosse pure infame e delinquente; che non abbiate un avvocato difensore; che il nome del vostro accusatore non vi sia nemmeno reso noto; che l’inquisitore vi prometta la grazia e in seguito vi condanni; che vi sottoponga a cinque torture diverse, e che infine voi siate o frustato, o messo in prigione o bruciato pubblicamente[72]. Il padre Ivonet, il dottor Cucalon, Zanchinus, Campegius, Roias, Felynus, Gomarus, Diabarus, Gemelinus sono categorici, e questa pia pratica non può tollerare alcuna contraddizione”.
Mi prenderei la libertà di rispondergli: “Fratello mio, può darsi che abbiate ragione; io sono convinto del bene che volete farmi; ma non potrei essere salvato senza tutto questo?”
È vero che questi orrori assurdi non macchiano tutti i giorni la superficie della terra; ma sono stati frequenti e si potrebbe facilmente ricavarne un volume molto più grosso dei Vangeli che li condannano. Non solo è molto crudele perseguitare in questa breve vita quelli che non la pensano come noi, ma non so se sia anche molto ardito pronunciare la loro dannazione eterna. Mi sembra che non spetti affatto agli atomi di un momento, quali siamo noi, di anticipare in questo modo le sentenze del Creatore. Sono bel lontano dal contestare questa sentenza: “Fuori dalla Chiesa, nessuna salvezza”; io la rispetto, così come tutto ciò che insegna, ma in verità, conosciamo noi tutte le vie di Dio e tutta l’estensione della sua misericordia? Non è permesso sperare in lui tanto quanto temerlo? Non è sufficiente essere fedeli alla Chiesa? Sarà necessario che ogni singolo usurpi i diritti della Divinità e stabilisca prima di lei la sorte eterna di tutti gli uomini?
Quando portiamo il lutto di un re di Svezia o di Danimarca, o d’Inghilterra, o di Prussia, diciamo che portiamo il lutto di un dannato che brucia all’inferno per l’eternità? Ci sono in Europa quaranta milioni di abitanti che non sono della Chiesa di Roma, diremo a ciascuno di loro: “Signore, visto che voi siete indubbiamente dannato, io non voglio né mangiare, né contrattare, né conversare con voi”?
Quale ambasciatore di Francia, presentatosi all’udienza del Gran Sultano, si dirà nel fondo del suo cuore: “Sua altezza sarà certamente bruciata in eterno, perché è dedita alla circoncisione”? Se egli credesse davvero che il Gran Sultano è il nemico mortale di Dio e l’oggetto della sua vendetta, potrebbe parlare con lui? Dovrebbe essere inviato da lui? Con quale uomo si potrebbero avere scambi commerciali, quale dovere della vita civile si potrebbe mai adempiere, se in effetti fossimo persuasi dall’idea che conversiamo con dei dannati?
O settari di un Dio clemente! se voi avrete un cuore crudele; se, adorando colui la cui unica legge consisteva in queste parole: “Ama Dio e il tuo prossimo”, voi avrete sovraccaricato questa legge pura e santa di sofismi e dispute incomprensibili; se voi avrete acceso la discordia, talvolta per una parola nuova, talvolta per una sola lettera dell’alfabeto; se voi avrete associato delle pene eterne all’omissione di qualche parola, di qualche cerimonia che altri popoli non potevano conoscere, io vi dirò, spargendo lacrime sopra il genere umano: “Trasferitevi con me al giorno in cui tutti gli uomini saranno giudicati, e Dio ricompenserà ciascuno secondo le sue opere”.
Io vedo comparire in sua presenza tutti i morti dei secoli passati e del nostro. Siete proprio sicuri che il nostro Creatore e Padre dirà al saggio e virtuoso Confucio, al legislatore Solone, a Pitagora, a Zaleuco, a Socrate, a Platone, ai divini Antonini, al buon Traiano, a Tito – le delizie del genere umano – a Epitteto, a tanti altri uomini modello: “Andate, mostri, andate a subire i castighi infiniti per intensità e durata; che il vostro supplizio sia eterno come me! E voi, miei cari Jean Châtel, Ravaillac, Damiens, Cartouche, ecc., che siete morti con le formule prescritte, condividete per sempre, qui alla mia destra, il mio impero e la mia beatitudine”?
Voi indietreggiate d’orrore a queste parole; e, dopo che mi sono scappate, non ho più niente da dirvi.
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NOTE:
- ^ Si veda l’eccellente libro che ha per titolo Il manuale dell’Inquisizione.