Capitolo X

Del pericolo delle false leggende e delle persecuzioni

Troppo a lungo la menzogna ha soggiogato i popoli; è tempo che si sappia il poco di verità che è possibile sbrogliare in mezzo a queste nubi di favole che ricoprono la storia romana dai tempi di Tacito e Svetonio, e che hanno quasi sempre avvolto gli annali delle altre antiche nazioni.

Come si può credere, ad esempio, che i romani, quel popolo grave e severo da cui noi abbiamo ereditato le leggi, abbiano condannato alla prostituzione delle vergini cristiane, delle giovani di alto rango? È davvero misconoscere l’austera dignità dei nostri legislatori, che punivano tanto severamente le debolezze delle vestali. Gli Atti sinceri di Ruinart riportano queste turpi azioni; ma dobbiamo credere agli Atti di Ruinart come agli Atti degli apostoli? Questi Atti sinceri dicono, secondo Bolland, che nella città di Ancira c’erano sette vergini cristiane, di circa 65 anni ciascuna, che il governatore Teotecno condannò a finire tra le mani dei giovani della città; ma poiché queste vergini furono, a ragione, graziate, le obbligò a servire completamente nude ai misteri di Diana, ai quali tuttavia si assisteva sempre con un velo. San Teodoto, che in verità era un oste, ma che non era meno infervorato, pregò ardentemente Dio di far morire quelle sante vergini, per paura che cadessero in tentazione. Dio lo esaudì; il governatore le fece gettare in un lago con una pietra al collo; esse apparvero subito a Teodoto e lo pregarono di non tollerare che i loro corpi fossero mangiati dai pesci; furono le loro esatte parole.

Durante la notte, il santo oste e i suoi compagni andarono in riva al lago, che era sorvegliato dai soldati; una fiaccola celeste li guidò sempre, e quando arrivarono dove si trovavano le guardie, un cavaliere celeste, armato di tutto punto e lancia in resta, perseguì queste guardie. San Teodoto estrasse dal lago i corpi delle vergini; fu condotto davanti al governatore e il cavaliere celeste non impedì che gli fosse tagliata la testa. Non smettiamo di ripetere che noi veneriamo i veri martiri, ma che è difficile credere a questa storia di Bolland e Ruinart.

Dobbiamo riportare adesso la storia del giovane San Romano? Fu gettato nel fuoco, racconta Eusebio, e degli ebrei che erano presenti insultarono Gesù Cristo perché lasciava bruciare i suoi seguaci, mentre Dio aveva tirato fuori dalle fornaci ardenti Sidrach, Misach, et Abdenago. Gli ebrei avevano appena finito di parlare quando San Romano uscì trionfante dal rogo: l’imperatore ordinò che lo si perdonasse, e disse al giudice che non voleva avere niente a che spartire con Dio; strane parole per Diocleziano! Nonostante la clemenza dell’imperatore, il giudice ordinò che a San Romano fosse tagliata la lingua e, benché ci fossero dei boia, fece fare questa operazione a un medico. Il giovane Romano, nato balbuziente, dopo che gli tagliarono la lingua parlò con scioltezza. Il medico subì un rimprovero, e per dimostrare che l’operazione era stata fatta a regola d’arte prese un passante e gli tagliò la lingua esattamente quanto l’aveva tagliata a San Romano, per la qual cosa il passante morì sul colpo: perché, aggiunge dottamente l’autore, l’anatomia ci insegna che un uomo senza lingua non potrebbe vivere. In verità, se Eusebio ha scritto tali stupidaggini, a meno che non siano state aggiunte ai suoi scritti, in che conto dobbiamo tenere la sua Storia?

San Romano  martire
San Romano martire

Vi si narra il martirio di Santa Felicita e dei suoi sette figli, mandati, si dice, a morte dal saggio e pio Antonino, senza menzionare l’autore della relazione.

È molto probabile che qualche autore più fervente che veritiero abbia voluto imitare la storia dei Maccabei. Il racconto comincia così: “Santa Felicita era romana, viveva ai tempi del regno di Antonino”; è chiaro, da queste parole, che l’autore non era contemporaneo di Santa Felicita. Dice che il pretore li giudicò al suo tribunale al Campo Marzio; ma il prefetto di Roma aveva il suo tribunale in Campidoglio, non al Campo Marzio, il quale, dopo essere stato usato per tenervi dei comizi, serviva a quel tempo per le rassegne dei sodati, le esercitazioni e i giochi militari: questo basta a dimostrare la menzogna.

Francesco Coghetti, Martirio di Santa Felicita e dei suoi sette figli
Francesco Coghetti, Martirio di Santa Felicita e dei suoi sette figli

Si narra inoltre che dopo il giudizio l’imperatore abbia commissionato a vari giudici l’incarico di far eseguire l’arresto: cosa che è assolutamente contraria alla prassi di quel tempo e a quella di tutti i tempi.

C’è nondimeno un certo Sant’Ippolito, che si suppone trascinato da cavalli, come Ippolito, il figlio di Teseo. Gli antichi romani non conobbero mai questo supplizio, e la sola somiglianza dei nomi ha fornito lo spunto per questa favola.

Martirio di Sant'Ippolito
Martirio di Sant’Ippolito

Osservate poi che nei racconti dei martiri, composti unicamente dagli stessi cristiani, si assiste quasi sempre a una folla di cristiani andare liberamente alla prigione del condannato, seguirlo al supplizio, raccoglierne il sangue, seppellirne il corpo, fare dei miracoli con le reliquie. Se fosse stata esclusivamente la religione ad essere perseguitata, non si sarebbero immolati quei cristiani dichiarati che assistevano i loro fratelli condannati, e che erano accusati di operare magie con i resti dei corpi martirizzati? Non li si sarebbe trattati come noi abbiamo fatto con i valdesi, gli albigesi, gli hussiti e le varie sette dei protestanti? Noi li abbiamo sgozzati, bruciati in massa, senza distinzione né di età né di sesso. Nei resoconti autentici delle antiche persecuzioni, è forse presente un solo tratto che si avvicini alla notte di San Bartolomeo e ai massacri d’Irlanda? Ce n’è uno solo che si avvicini alla festa annuale che si celebra ancora a Tolosa, festa crudele e abominevole in eterno, in cui un popolo intero ringrazia Dio in processione e si rallegra di aver sgozzato, duecento anni fa, quattromila suoi concittadini?

Lo dico con orrore, ma con sincerità: siamo noi cristiani, siamo noi ad essere stati persecutori, boia e assassini! E di chi? Dei nostri fratelli. Siamo noi che abbiamo distrutto cento città, con il crocifisso o la Bibbia in mano, e che non abbiamo smesso di versare sangue e accendere roghi, dal regno di Costantino alle ire dei cannibali che popolavano le Cevenne: ire che, grazie al cielo, oggi non esistono più.

Qualche poveretto del Poitu, del Vivarese, di Valence e di Montauban lo mandiamo ancora alla forca, qualche volta. Abbiamo impiccato, dal 1745, otto persone che vengono dette ‘predicatori’ o ‘ministri del Vangelo’ che avevano l’unica colpa di aver pregato Dio per il re in patois e di aver dato una goccia di vino e un pezzo di pane lievitato a qualche sciocco contadino. Non si sa niente di tutto questo a Parigi, dove l’unica cosa che conta è il piacere, dove si ignora tutto quello che capita in provincia e negli altri stati. Questi processi si svolgono in un’ora, più in fretta di quando si giudica un disertore. Se il re lo sapesse, ne farebbe grazia.

In nessun paese protestante i preti cattolici vengono trattati così. Ci sono più di cento preti cattolici in Inghilterra e Irlanda; li si conosce e li si è lasciati vivere tranquillamente durante l’ultima guerra.

Saremo sempre gli ultimi ad adottare le idee ragionevoli degli altri paesi? Loro si sono ravveduti; quando ci ravvederemo, noi? Ci sono voluti sessant’anni perché adottassimo ciò che aveva dimostrato Newton: cominciano appena ad osare a salvare la vita ai nostri bambini con il vaccino; pratichiamo solo da pochissimo tempo i veri principi dell’agricoltura; quando cominceremo a praticare i veri principi dell’umanità? E da che pulpito possiamo rimproverare ai pagani di aver fatto dei martiri, quando noi siamo stati colpevoli della stessa crudeltà nelle stesse circostanze?

Ammettiamo che i romani abbiano fatto morire una moltitudine di cristiani unicamente per la religione: in tal caso i romani sono stati davvero condannabili. Vogliamo forse commettere la stessa ingiustizia? E quando rimproveriamo loro di aver perseguitato, vogliamo forse essere noi i persecutori?

Se ci fosse qualcuno tanto privo di buona fede, o tanto fanatico da venirmi a dire: “Perché venite qui a elencare i nostri sbagli e le nostre colpe? Perché distruggere i nostri falsi miracoli e le nostre false leggende? Sono il cibo della pietà di tante persone; ci sono degli errori necessari; non strappate al corpo un’ulcera incarnata provocando così la distruzione del corpo”. Ecco cosa gli risponderei.

Tutti questi falsi miracoli con cui voi fate vacillare la fede che andrebbe riconosciuta a quelli veri, tutte queste assurde leggende che aggiungete alle verità del Vangelo spengono la religione nei cuori; troppe persone che vogliono istruirsi e che non hanno il tempo di istruirsi abbastanza, dicono: i maestri della mia religione mi hanno ingannato, quindi non c’è alcuna religione; è meglio gettarsi nelle braccia della natura che in quelle dell’errore; preferisco dipendere dalla legge di natura che dalle invenzioni degli uomini. Altri hanno la sventura di spingersi ancora oltre: vedono che l’impostura ha messo loro un freno e non vogliono nemmeno il freno della verità, si accostano all’ateismo; diventano depravati perché altri sono stati furbi e malvagi.

Ecco indubbiamente le conseguenze di tutte le frodi religiose e di tutte le superstizioni. Gli uomini di solito non ragionano che a metà; è davvero una tesi infelice sostenere che Jacopo da Varagine, l’autore della Legenda Aurea, e il gesuita Ribadeneira, autore delle Vite dei Santi, hanno detto solo stupidaggini: quindi Dio non esiste; i cattolici hanno sgozzato un certo numero di ugonotti e gli ugonotti a loro volta hanno ammazzato un certo numero di cattolici: quindi Dio non esiste; ci si è approfittati della confessione, della comunione e di tutti i sacramenti per commettere i crimini più orrendi: quindi Dio non esiste. Io concluderei al contrario: quindi esiste un Dio che, dopo questa vita passeggera, durante la quale noi l’abbiamo così poco conosciuto e commesso tanti crimini in suo nome, si degnerà di consolarci di tante orribili sventure: perché, considerando le guerre di religione, i quaranta scismi dei papi, quasi tutti sanguinosi; le imposture, quasi tutti funeste; gli insanabili rancori fomentati dalla diversità di opinione; considerando tutti i mali prodotti dal falso fervore religioso, gli uomini hanno a lungo vissuto l’inferno in questa vita.