Capitolo XXV

Seguito e conclusione

Apprendiamo che il 7 marzo 1763 tutto il consiglio di stato riunito a Versailles in presenza dei ministri di stato e sotto la presidenza del cancelliere, M. de Crosne, il relatore, espose il caso dei Calas con l’imparzialità di un giudice, la precisione di un uomo perfettamente istruito, l’eloquenza semplice e vera di un oratore e uomo di stato, la sola che sia appropriata in un’assemblea come quella. Una folla prodigiosa di persone di ogni rango aspettava la decisione del consiglio nella galleria del castello. Presto fu comunicato al re che tutti i voti, nessuno escluso, avevano ordinato che il parlamento di Tolosa inviasse al consiglio gli atti processuali e le motivazioni della sentenza che aveva fatto morire Jean Calas sulla ruota. Sua Maestà approvò il giudizio del consiglio.

C’è dunque un po’ di umanità e giustizia presso gli esseri umani, e soprattutto presso il consiglio di un re amato e degno di essere amato. Il caso di una sfortunata famiglia di comuni cittadini ha occupato Sua Maestà, i suoi ministri, il cancelliere e tutto il consiglio, ed è stata discussa con una disamina tanto meticolosa quanto possono esserlo le più grandi questioni di pace e di guerra. L’amore per la giustizia, l’interesse per il genere umano hanno ispirato tutti i giudici. Siano rese grazie a quel Dio clemente, il solo che ispira la giustizia e tutte le virtù!

Dichiariamo che non abbiamo mai conosciuto né quello sfortunato Calas che gli otto giudici di Tolosa condannarono a morte basandosi sui più deboli indizi, contrariamente agli ordini dei nostri re e contrariamente alle leggi di tutte le nazioni; né abbiamo mai conosciuto suo figlio Marc-Antoine, la cui morte insolita ha tratto in errore questi otto giudici; né la madre, tanto rispettabile quanto sventurata; né le sue figlie innocenti, che hanno fatto insieme a lei duecento leghe per venire a deporre ai piedi del trono la loro rovina e la loro virtù.

Questo Dio sa che noi non siamo stati animati che da uno spirito di giustizia, verità e pace quando noi abbiamo scritto quello che pensiamo della tolleranza, con l’occasione di Jean Calas che lo spirito di intolleranza ha fatto morire.

Noi non abbiamo inteso offendere gli otto giudici di Tolosa quando abbiamo detto che si sono sbagliati, come invece ha pensato tutto il consiglio; al contrario, abbiamo aperto loro una via per giustificarsi davanti all’Europa intera. Questa via consiste nell’ammettere che degli indizi equivoci e le grida di una moltitudine delirante hanno avuto la meglio sulla loro giustizia; nel chiedere perdono alla vedova, e nel porre rimedio, per quanto possono, alla completa rovina di una famiglia innocente unendosi a coloro che la aiutano nel suo dolore. Hanno fatto morire il padre ingiustamente: sta a loro far da padre ai figli, ammesso che questi orfani vogliano ricevere da loro un piccolo segno di un pentimento assai giusto. Sarebbe bello che i giudici lo offrissero e la famiglia rifiutasse.

Spetta soprattutto a Messere David, capitoul di Tolosa, dare l’esempio di rimorso, in quanto primo persecutore dell’innocenza. Ha insultato un padre di famiglia che moriva sul patibolo. Questa crudeltà è davvero inaudita; ma poiché Dio perdona, gli uomini devono ugualmente perdonare a chi pone rimedio alle proprie ingiustizie.

Mi è stata scritta dalla Linguadoca questa lettera del 20 febbraio 1763.

“La vostra opera sulla tolleranza mi sembra piena di umanità e verità; ma temo che farà più male che bene alla famiglia Calas. Può irritare gli otto giudici che hanno sentenziato la ruota; chiederanno al parlamento che il vostro libro sia bruciato, e i fanatici (ce ne sono sempre) risponderanno con urla di rabbia alla voce della ragione, ecc.”.

………………………………………………………………………….

Ecco la mia risposta:

“Gli otto giudici di Tolosa possono far bruciare il mio libro, se è buono; non c’è niente di più facile: sono state bruciate pure le Lettere provinciali, che valevano senza dubbio molto di più; ognuno può bruciare a casa sua i libri e i documenti che non gli piacciono.

La mia opera non può fare né bene né male ai Calas, che io non conosco affatto. Il consiglio del re, imparziale e fermo, giudica seguendo le leggi, seguendo l’equità, basandosi sui documenti, le procedure, e non su uno scritto che non è per niente giuridico, e il cui scopo è assolutamente estraneo al caso in esame.

Per quanto si stampino in-folio a favore o contro gli otto giudici d Tolosa, e a favore o contro la tolleranza, né il consiglio né alcun tribunale considererà questi libri come dei documenti del processo.

Questo scritto sulla tolleranza è una richiesta che l’umanità presenta molto umilmente al potere e alla prudenza. Semino un granello che potrà un giorno produrre una messe. Tutto dipende dal tempo, dalla bontà del re, dalla saggezza dei suoi ministri e dallo spirito della ragione che comincia a spargere ovunque la sua luce.

La natura dice a tutti gli esseri umani: “Io vi ho fatti nascere tutti deboli e ignoranti, per vegetare qualche istante sulla terra e per concimarla con i vostri cadaveri. Poiché siete deboli, aiutatevi; poiché siete ignoranti, illuminatevi e sostenetevi. Qualora foste tutti dello stesso parere, cosa che sicuramente non succederà mai, qualora non ci fosse che un solo uomo di parere contrario, gli dovrete perdonare: perché sono io che lo faccio pensare come lui pensa. Vi ho dato delle braccia per coltivare la terra e un piccolo barlume di ragione perché vi guidi; ho messo nei vostri cuori un germe di compassione per aiutarvi gli uni gli altri a sopportare la vita. Non soffocate quel germe, non corrompetelo, imparate che è divino, e non sostituite i miserabili furori della scuola alla voce della natura.

Sono io sola che vi unisco ancora, vostro malgrado, con le vostre necessità reciproche, proprio nel bel mezzo delle vostre guerre crudeli intraprese con tanta leggerezza, teatro eterno delle colpe, del caso, e delle sventure. Sono io sola che, in una nazione, fermo le conseguenze funeste della divisione interminabile tra la nobiltà e la magistratura, tra questi due corpi e quello del clero, tra il borghese stesso e il coltivatore. Ignorano tutti i limiti dei loro diritti; ma loro malgrado ascoltano tutti, alla fine, la mia voce che parla ai loro cuori. Io sola preservo l’equità nei tribunali, dove senza di me tutto sarebbe abbandonato all’indecisione e al capriccio, nel mezzo di un ammasso confuso di leggi fatte spesso a caso e per un bisogno passeggero, diverse tra loro da provincia a provincia, da città a città, e quasi ovunque in contraddizione tra loro nel medesimo luogo. Io sola posso ispirare la giustizia quando le leggi non ispirano che battibecchi. Colui che mi ascolta giudica sempre bene; e colui che non mira che a conciliare delle opinioni che si contraddicono è colui che sbaglia.

C’è un edificio immenso di cui ho posato le fondamenta con le mie mani: era solido e semplice, tutti gli uomini ci potevano entrare in sicurezza; hanno voluto aggiungervi gli ornamenti più bizzarri, volgari e inutili; l’edificio cade in rovina da tutte le parti; gli uomini ne prendono le pietre e se le tirano in testa; io grido loro: “Fermatevi, buttate via questi detriti funesti che sono opera vostra, e dimorate con me in pace nell’edificio indistruttibile che ho fatto io”.