Capitolo VIII

Se i Romani siano stati tolleranti

Presso gli antichi romani, da Romolo fino ai tempi in cui i cristiani ebbero a discutere con i sacerdoti dell’impero, voi non vedete alcun uomo perseguitato per le sue credenze. Cicerone dubitò di tutto, Lucrezio negò tutto; non fu fatto loro il benché minimo rimprovero. La permissività si spinse al punto tale che Plinio il naturalista comincia il suo libro negando un Dio e dicendo che se ce n’è uno, è il sole. Cicerone disse, parlando degli inferi: “Non est anus tam excors quae credat” “Non c’è neanche una vecchia imbecille che ci creda”. Giovenale dice: “Nec pueri credunt” (Satire II, verso 152), “Nemmeno i bambini ci credono”. Si cantava al teatro di Roma: Post mortem nihil est, ipsaque mors nihil (Seneca, Troades; coro alla fine del secondo atto), “Dopo la morte non c’è niente, la morte stessa è niente”.

Aborriamo queste massime e, tutt’al più, perdoniamole ad un popolo che non è stato illuminato dai vangeli; esse sono false, esse sono empie; ma concludiamo che i romani erano molto tolleranti, poiché esse non suscitarono mai il benché minimo mormorio.

Il grande principio del senato e del popolo romano era: “Deorum offensae diis curae“, “è solo agli dei che spetta preoccuparsi delle offese fatte agli dei”. Questo popolo re non pensava che a conquistare, governare e civilizzare l’universo. Sono stati nostri legislatori, in quanto nostri vincitori; e mai Cesare, che ci diede armi, leggi e giochi, volle obbligarci ad abbandonare i nostri druidi per lui, benché gran signore qual era di una nazione a noi sovrana.

Un'immagine di Druido, incisione del 1676
Un’immagine di Druido, incisione del 1676

I romani non professavano tutti i culti, non davano a tutti la sanzione pubblica; ma li permisero tutti. Non ebbero alcun oggetto materiale di culto sotto Numa Pompilio, né simulacri né statue; presto ne eressero agli dei majorum gentium che i greci fecero loro conoscere. La legge delle dodici tavole, Deos peregrinos ne colunto, si ridusse a non accordare il culto pubblico che alle divinità superiori approvate dal senato. Isis ebbe un tempio a Roma, finché Tiberio non lo demolì allorché i sacerdoti del tempio, corrotti dal denaro di Mundus, sotto il nome del dio Anubi lo fecero giacere nel tempio insieme ad una donna di nome Paolina. È vero che Flavio Giuseppe è il solo che riporti questa storia; non era contemporaneo, era credulone e facile all’esagerazione. È poco probabile che, in un tempo tanto illuminato come quello di Tiberio, una donna di alto lignaggio fosse così scema da credere di avere i favori del dio Anubi.

Ma vero o falso che sia questo aneddoto, quel che è certo è che la superstizione degli egizi aveva eretto un tempio a Roma con il pubblico assenso. Gli ebrei vi tenevano scambi commerciali dai tempi della guerra punica; vi tenevano delle sinagoghe dai tempi di Augusto, e le conservarono praticamente sempre, fino alla Roma moderna. C’è forse un esempio migliore del fatto che la tolleranza era tenuta dai romani come la legge più sacra del diritto delle genti?

Ci dicono che non appena apparvero i cristiani, essi furono perseguitati da quegli stessi romani che non perseguitavano nessuno. Mi pare evidente che questo fatto è falsissimo; come prova mi avvalgo di San Paolo in persona. Gli Atti degli apostoli ci insegnano che[14], poiché gli ebrei accusavano San Paolo di voler distruggere la legge di Mosè con Gesù Cristo, San Giacomo propose a San Paolo di farsi radere il capo e di andare a purificarsi nel tempio con quattro ebrei, “affinché tutti sappiano che tutto ciò che si dice su di voi è falso e che voi continuate ad osservare la legge di Mosè”.

Paolo, cristiano, si avvicinò dunque a tutte le cerimonie ebraiche per sette giorni; ma i sette giorni non erano ancora passati quando degli ebrei dell’Asia lo riconobbero; e vedendo che era entrato nel tempio, non solo con degli ebrei, ma anche con dei pagani, gridarono alla profanazione; fu preso, portato dal governatore Felice, e poi ci si rivolse al tribunale di Porcio Festo. Gli ebrei in massa chiesero la sua morte; Festo ripose loro [15]: “Non è consuetudine dei Romani condannare un uomo prima che l’accusato abbia i suoi accusatori davanti a lui e gli si dia la libertà di difendersi”.

San Paolo viene arrestato
San Paolo viene arrestato

Queste parole sono tanto più notevoli in questo magistrato romano che apparentemente non aveva nessuna considerazione per San Paolo e che non nutriva per lui altro che disprezzo: ingannato dai falsi lumi della sua ragione, lo prese per un pazzo; glielo disse personalmente[16] che era demente: Multae te litterae ad insaniam convertunt. Dunque Festo non fece altro che seguire la giustizia della legge romana offrendo la sua protezione ad uno sconosciuto di cui non poteva avere stima.

Ecco lo Spirito Santo in persona che dichiara che i romani non erano dei persecutori, ma che erano giusti. Non furono i romani che si sollevarono contro San Paolo, furono gli ebrei. San Giacomo, fratello di Gesù, fu lapidato per ordine di un ebreo sadduceo, e non di un romano. Gli ebrei soli lapidarono Santo Stefano[17]; e quando San Paolo custodiva i mantelli degli esecutori, certo essi non agivano da cittadini romani.

I primi cristiani non avevano di sicuro niente a che spartire con i romani; come unici nemici avevano gli ebrei, da cui cominciavano a separarsi. È noto quale odio implacabile portino tutti i settari nei confronti di quelli che abbandonano la loro setta. Ci furono indubbiamente dei tumulti nelle sinagoghe di Roma. Svetonio dice, nella sua Vita di Claudio (cap. XXV): Judaeos, impulsore Christo assidue tumultuantes, Roma expulit. Si sbagliava a dire che era per istigazione di Cristo: non poteva essere a conoscenza dei dettagli di un popolo così disprezzato a Roma come lo era quello degli ebrei; ma non si sbagliava sul motivo di queste dispute. Svetonio scriveva ai tempi di Adriano, nel secondo secolo; agli occhi dei romani, i cristiani non erano allora distinti dagli ebrei. Il brano di Svetonio mostra che i romani, lungi dall’opprimere i primi cristiani, repressero allora gli ebrei da cui essi erano perseguitati. Volevano che la sinagoga di Roma avesse per i suoi fratelli separati la stessa indulgenza che il senato aveva per lei; e gli ebrei cacciati presto fecero ritorno; arrivarono anche alle onorificenze, malgrado le leggi li escludessero: sono Dione Cassio e Ulpiano che ce ne informano[18]. È mai possibile che dopo la caduta di Gerusalemme gli imperatori avessero dato delle onorificenze agli ebrei, e che avessero perseguitato, consegnandoli ai boia e alle fiere, dei cristiani che consideravano come una setta ebrea?

Nerone, si dice, li perseguitò. Tacito ci dice che furono accusati dell’incendio di Roma, e che li si abbandonò alla rabbia del popolo. In tale accusa c’entrava in qualche modo la loro fede? No, indubbiamente. Diremmo forse che i cinesi, sgozzati dagli olandesi qualche anno fa nei sobborghi di Batavia, furono immolati per la religione? Pur essendo tentati dal cadere in errore, è impossibile attribuire all’intolleranza il disastro capitato ai tempi di Nerone a qualche sfortunato mezzo-ebreo e mezzo-cristiano[19].

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NOTE:

  1.  ^  Capitoli XXI e XXIV.
  2.  ^ Atti, capitolo XXV, v. 16.
  3.  ^ Atti, capitolo XXVI, v. 24.
  4.  ^ Benché gli ebrei non avessero il diritto di amministrare la giustizia dopo che Archelao era stato esiliato presso gli Allobrogi e la Giudea era governata come provincia dell’impero, tuttavia i romani chiusero spesso gli occhi quando gli ebrei esercitavano il giudizio dello zelo, cioè quando, durante un’improvvisa sommossa, lapidavano per zelo religioso coloro che essi ritenevano aver bestemmiato.
  5.  ^ Ulpiano, Digest., lib. I, tit. II. “Eis qui judaicam superstitionem sequuntur honores adipisci permiserunt, etc.”
  6.  ^ Tacito dice (Annales, XV, 44): “Quos per flagitia invisos vulgus christianos appellabat“. Era molto difficile che il nome di ‘cristiano’ fosse già conosciuto a Roma: Tacito scriveva durante il regno di Vespasiano e Domiziano; parlava dei cristiani come se ne parlava ai suoi tempi. Oserei dire che le parole “odio humani generis convicti” nello stile di Tacito potrebbero significare sia “convinti di essere odiati dal genere umano” sia “convinti di odiare il genere umano”.In effetti, cosa facevano a Roma questi primi missionari? Si impegnavano a guadagnarsi un po’ di anime, insegnavano loro la morale più pura; non si elevavano contro alcun potere; l’umiltà del loro cuore era estrema tanto quanto quella del loro stato e condizione; a malapena erano conosciuti, a malapena erano distinti dagli altri ebrei: come poteva il genere umano odiarli, se ne ignorava l’esistenza? E come potevano essi essere convinti di odiare il genere umano?Quando Londra bruciò, si accusarono i cattolici; ma successe dopo le guerre di religione, dopo la cospirazione delle polveri, in cui furono coinvolti molti cattolici indegni di essere tali.I primi cristiani al tempo di Nerone non si trovavano sicuramente nelle stesse condizioni. È molto difficile penetrare nelle tenebre della storia; Tacito non riporta alcuna ragione del sospetto che si ebbe che Nerone stesso avesse voluto ridurre Roma in cenere. Avrebbe avuto più fondamento sospettare Carlo II di aver incendiato Londra; il sangue del re suo padre, giustiziato sul patibolo alla vista del popolo che chiedeva la sua morte, poteva almeno servire da pretesto a Carlo II; ma Nerone non aveva né scuse, né pretesti, né interessi. Queste dicerie insensate possono essere in ogni paese appannaggio del popolo: ai giorni nostri ne abbiamo sentite di altrettanto folli e ingiuste.Tacito, che conosce così bene la natura dei principi, doveva conoscere quella del popolo, sempre vano, sempre estremo nelle sue opinioni violente e passeggere, incapace di vedere, e capace di dire tutto, credere a tutto, e dimenticare tutto.Filone (De Virtutibus, et Legatione ad Caium) dice che “Seiano li perseguitò sotto TIberio ma che, dopo la morte di Seiano, l’imperatore restituì loro tutti i diritti”. Avevano il diritto di cittadini romani, benché fossero disprezzati dai cittadini romani; prendevano parte alla distribuzione del grano; e addirittura, quando la distribuzione cadeva il sabato, si rinviava la loro ad un altro giorno: probabilmente era per le somme di denaro che avevano devoluto allo Stato, perché in ogni paese hanno comprato la tolleranza e sono stati ben presto ripagati di quello che era loro costata.Questo brano di Filone spiega perfettamente quello di Tacito, che dice che furono mandati quattromila ebrei o egiziani in Sardegna, e che se l’inclemenza del clima li avesse fatti morire, sarebbe stata una perdita leggera, ‘vile damnum‘ (Annales, II, 85).Aggiungerei a questa osservazione che Filone considera Tiberio come un principe saggio e giusto. Io sono convinto che fosse giusto soltanto nella misura in cui questa giustizia si accompagnava con i suoi interessi; ma il bene che Filone ne dice mi fa un po’ dubitare degli orrori di cui Tacito e Svetonio lo rimproverano. Non mi sembra per niente verosimile che un vecchio infermo, di settant’anni, si sia ritirato nell’isola di Caprera per abbandonarsi a delle raffinate dissolutezze, che esistono a malapena in natura e che erano sconosciute perfino alla gioventù più sfrenata di Roma; né Tacito né Svetonio avevano conosciuto questo imperatore; raccoglievano con piacere delle voci popolari. Ottavio, Tiberio e i loro successori erano stati odiosi perché regnavano su un popolo che doveva essere libero: gli storici si compiacevano nel diffamarli, e si credeva a questi storici sulla parola perché allora non si avevano dei memoriali, dei giornali del tempo dei documenti: anche gli storici non citano nessuno; non era possibile contraddirli; diffamavano chi volevano, e stabilivano a loro piacimento il giudizio della modernità. Sta al lettore saggio vedere fino a che punto si deve diffidare della veridicità degli storici, quale credenza si deve avere per dei fatti pubblici attestati da autori seri, nati in una nazione illuminata, e quali limiti vanno messi alla tendenza a credere a certi aneddoti che questi stessi autori riportano senza alcuna prova.