Capitolo XXIV

Post Scriptum

Mentre lavoravamo a quest’opera con il solo intento di rendere gli uomini più miti e compassionevoli, un altro uomo scriveva con l’intento esattamente opposto: perché ciascuno ha la propria opinione. Quest’uomo faceva stampare un piccolo codice di persecuzione, intitolato l’Accordo della religione e dell’umanità (è un refuso dello stampatore: leggete ‘dell’inumanità’).

L’autore di questo santo libello si basa su Sant’Agostino, che dopo aver predicato la mitezza, predicò infine la persecuzione, visto che allora era il più forte e che cambiava spesso idea. Cita anche il vescovo di Meaux, Bossuet, che perseguitò il famoso Fénelon, arcivescovo di Cambrai, colpevole di aver fatto stampare che Dio vale ben la pena che lo si ami per se stesso.

Bossuet era eloquente, lo ammetto; il vescovo di Ippona, a volte incongruente, era più facondo di quanto non lo siano gli altri africani, ammetto anche questo; ma io mi prenderei la libertà di dire all’autore di questo santo libello, insieme ad Armande nelle Femmes savantes:

“Quando ci si prefigge di prendere a modello una persona,
è nei lati positivi che bisogna assomigliarle”.
(Atto I, scena 1).

Io direi al vescovo d’Ippona: “Monsignore, voi avete cambiato parere, permettetemi di attenermi alla vostra prima opinione; in verità, la credo migliore”.

Io direi al vescovo di Meaux: “Monsignore, voi siete un grande uomo: vi trovo sapiente almeno quanto Sant’Agostino, e molto più eloquente; ma perché tormentate tanto il vostro confratello, che era eloquente tanto quanto voi in un altro genere, e che era più amabile?”

L’autore del santo libello sull’inumanità non è né un Bossuet né un Agostino; mi pare proprio adatto a impersonare un eccellente inquisitore; vorrei che fosse a Goa alla testa di quel bel tribunale. È, inoltre, uomo di stato, ed espone grandi principi politici. Egli afferma: “Se ci sono tra voi molti eterodossi, trattateli con riguardo, persuadeteli; se non ce n’è che un numero esiguo, mettete in atto l’autorità e le galere, e vi troverete benissimo”; è ciò che consiglia lui, a pagina 89 e 90.

Grazie a Dio, io sono un buon cattolico, non ho da temere ciò che gli ugonotti chiamano martirio; ma se quest’uomo è davvero primo ministro, come pare vantarsi nel suo libello, io l’avverto che parto per l’Inghilterra il giorno in cui i suoi decreti diventeranno leggi.

Nel frattempo, non posso che ringraziare la Provvidenza del fatto che permette che le persone della sua specie siano sempre dei cattivi argomentatori. Arriva perfino a citare Bayle tra i sostenitori dell’intolleranza: ciò e sensato e astuto; e dal fatto che Bayle concede che è necessario punire i faziosi e i lazzaroni, il nostro uomo ne deduce che è necessario perseguitare a ferro e fuoco le persone di buona fede che sono tranquille.

Quasi tutto il suo libro è un’imitazione dell’ Apologia della notte di San Bartolomeo. È quell’apologista o la sua eco. In un caso o nell’altro, bisogna sperare che né il maestro né il discepolo governino lo Stato.

Ma se succede che ne diventano padroni, io rivolgo loro da lontano questa richiesta, in riferimento a due righe della pagina 93 del santo libello:

“Bisogna sacrificare alla felicità di un ventesimo della nazione la felicità della nazione intera?”

Ammesso che in effetti ci siano venti cattolici romani in Francia per ogni ugonotto, io non pretendo che l’ugonotto mangi i venti cattolici; ma allo stesso modo perché questi venti cattolici dovrebbero mangiare questo ugonotto, e perché impedire a questo ugonotto di sposarsi? Non ci sono vescovi, abati, monaci che hanno delle terre nel Delfinato, nel Gévaudan, dalla parti di Adge e Carcassona? Questi vescovi, abati e monaci non hanno dei contadini che hanno la disgrazia di non credere alla transustanziazione? Non è nell’interesse dei vescovi, degli abati, dei monaci e di tutti che questi contadini abbiano delle famiglie numerose? Sarà permesso di mettere al mondo dei figli solo a quelli che faranno la comunione in un unico modo? In verità questo non è né giusto né onesto.

“La revoca dell’Editto di Nantes non ha affatto prodotto tutti quegli inconvenienti che le si attribuisce”, dice l’autore.

Se in effetti gliene si attribuiscono più di quanti ne abbia prodotti, si esagera, e il torto di quasi tutti gli storici è di esagerare; ma è anche il torto di tutti i controversisti quello di ridurre a niente il male che gli si rimprovera. Non prestiamo fede né ai dottori di Parigi né ai predicatori di Amsterdam.

Prendiamo come giudice il conte di Avaux, ambasciatore in Olanda dal 1685 al 1688. Lui afferma (pagina 181, volume V) che un solo uomo si era offerto di scoprire più di venti milioni che i perseguitati facevano uscire dalla Francia. Luigi XIV risponde al signor conte di Avaux: “Le notizie che ricevo tutti i giorni di un numero infinito di conversioni non mi lasciano più dubitare che i più ostinati non seguano l’esempio degli altri”.

Da questa lettera di Luigi XIV si vede che egli era in assoluta buona fede circa l’estensione del suo potere. Gli dicevano tutte le mattine: “Sire, voi siete il più grande re dell’universo; tutto l’universo sarà felice di pensarla come voi dal momento stesso in cui avrete parlato”. Pellisson, che si era arricchito rivestendo il ruolo di primo commesso delle finanze; Pellisson, che era stato tre anni nella Bastiglia in quanto complice di Fouquet; Pellisson, che da calvinista era diventato diacono e beneficiario, che faceva stampare delle preghiere per la messa e delle poesie d’amore per Iris, che aveva ottenuto l’ufficio di economo e di convertitore; Pellisson, dicevo, ogni tre mesi portava una grande lista di abiure a sette o otto scudi al pezzo, e faceva credere al suo re che, se lo avesse voluto, avrebbe convertito tutti i turchi allo stesso prezzo. Facevano a turno per ingannarlo; poteva resistere alla tentazione?

Tuttavia lo stesso M. d’Avaux manda a dire al re che un tale di nome Vincent dà lavoro a più di cinquecento operai nei pressi di Angoulème, e che il suo espatrio danneggerebbe lo stato (volume V, pagina 240).  Il 9 maggio 1686 questo ambasciatore scrive ancora  a M. de Seignelai che “non può nascondergli il suo dispiacere nel vedere le manifatture francesi stabilirsi in Olanda, da dove non usciranno più”.

Lo stesso M. d’Avaux parla di due reggimenti che il principe d’Orange fa già arruolare dagli ufficiali francesi rifugiati; parla di marinai che abbandonarono tre vascelli per servire quelli del principe d’Orange. Oltre a questi due reggimenti, il principe d’Orange forma anche una compagnia di cadetti rifugiati, comandati da due capitani (pagina 240). Il 9 maggio 1686, questo ambasciatore scrive ancora a M. de Seignelai “che non può nascondergli la sua pena nel vedere le manifatture di Francia stabilirsi in Olanda, da dove non usciranno mai.

Aggiungete a tutte queste testimonianze quelle di tutti gli intendenti del regno nel 1699, e giudicate se la revoca dell’editto di Nantes non abbia prodotto più male che bene, malgrado l’opinione dell’autore dell’Accordo della religione e dell’inumanità.

Un maresciallo di Francia, noto per il suo spirito superiore, diceva qualche anno fa: “Non so se la dragonnade sia stata necessaria; ma è necessario non farne più”.

Confesso che ho creduto di spingermi troppo oltre quando ho reso pubblica la lettera del corrispondente del Padre Le Tellier, in cui quel confratello propone delle tonnellate di polvere da sparo. Dicevo tra me e me: “Non mi crederanno, considereranno questa lettera un componimento inventato”. I miei scrupoli si sono felicemente dileguati quando ho letto nell’Accordo della religione e dell’inumanità, a pagina 49, queste dolci parole:

“L’estinzione totale dei protestanti in Francia non la indebolirebbe più di quel che farebbe un salasso a un malato di buona costituzione”.

Questo cristiano compassionevole, che ha appena detto che i protestanti costituiscono un ventesimo della nazione, vuole dunque che si sparga il sangue di questa ventesima parte, e considera questa operazione niente più che come il sanguinamento di un incisivo! Dio ci preservi insieme con lui dai tre ventesimi!

Allora se questo brav’uomo propone di ammazzare un ventesimo della nazione, perché l’amico del Padre Le Tellier non dovrebbe aver proposto di farne saltare in aria, sgozzarne e imprigionarne un terzo? Dunque è altamente verosimile che la lettera al Padre Le Tellier sia stata scritta veramente.

Infine il santo autore chiude con la conclusione che l’intolleranza è una cosa eccellente, “perché non è stata espressamente condannata da Gesù Cristo”. Ma Gesù Cristo non ha condannato neanche chi appiccasse il fuoco ai quattro angoli di Parigi: è questa una ragione per canonizzare gli incendiari?

Così, dunque, quando da un lato la natura fa sentire la sua voce dolce e benevola, il fanatismo, questo nemico della natura, lancia delle grida; e allorché la pace si offre all’umanità, l’intolleranza forgia le sue armi. O voi, arbitri delle nazioni, che avete dato la pace all’Europa, scegliete tra lo spirito pacifico e lo spirito assassino!