Capitolo XXI

La virtù val più della scienza

Meno dogmi, meno dispute; e meno dispute, meno dolori; se questo non è vero, allora ho torto.

La religione è istituita per renderci felici in questa vita e nell’altra. Di cosa abbiamo bisogno per essere felici nell’altra vita? Di essere giusti.

Per essere felici in questa vita, per quanto ci consenta la miseria della nostra natura, di cosa abbiamo bisogno? Di essere indulgenti.

Sarebbe il colmo della follia pretendere di riuscire a far avere a tutti gli uomini un pensiero uniforme sulla metafisica. Sarebbe più facile sottomettere l’intero universo con le armi che sottomettere tutti gli animi di una sola città.

Euclide è riuscito facilmente a persuadere tutti gli uomini sulle verità della geometria: perché? Perché non ce n’è una che non sia un corollario evidente di questo piccolo assioma: due più due fa quattro. Non è per niente la stessa cosa nel miscuglio della metafisica e della teologia.

Quando il vescovo Alessandro e il sacerdote Arios o Arius cominciarono a disputare sulla maniera in cui il Logos era una emanazione del Padre, l’imperatore Costantino scrisse loro subito queste parole riportate da Eusebio e da Socrate; “Siete completamente matti a disputare su cose che non potete intendere”.

Ario, teorico dell'arianesimo
Ario, teorico dell'arianesimo
Se le due parti fossero state abbastanza sagge da capire che l’imperatore aveva ragione, il mondo cristiano si sarebbe macchiato di sangue per trecento anni.

Infatti, non c’è niente di più folle e orribile che dire agli uomini: “Amici miei, non basta essere persone fedeli, figli sottomessi, padri amorevoli, vicini leali; non basta praticare tutte le virtù, coltivare l’amicizia, fuggire l’ingratitudine, adorare Gesù Cristo in pace; bisogna anche che voi sappiate come siamo stati generati dall’eternità; e se voi non sapete distinguere l’homousion nell’ipostasi, vi avvertiamo che sarete destinati al fuoco eterno; e, nel frattempo, noi cominciano con lo sgozzarvi”.

Se avessero presentato una tale decisione a un Archimede, a un Posidonio, a un Varrone, a un Catone, a un Cicerone, che cosa avrebbero risposto?

Costantino non perseverò affatto nella sua risoluzione di imporre il silenzio alle due parti: avrebbe potuto far venire i capi della zuffa nel suo palazzo; avrebbe potuto chiedere loro con che autorità sconvolgevano il mondo. “Avete i titoli della famiglia divina? Che cosa vi importa se il Logos sia fatto o generato, purché si sia a lui fedeli, si predichi una buona morale e la si pratichi se si può? Ho commesso molti errori nella mia vita, e anche voi; voi siete ambiziosi, e anch’io; l’impero mi ha richiesto furberie e crudeltà; ho assassinato quasi tutti i mie parenti; me ne pento: voglio espiare i miei crimini rendendo l’impero romano pacifico; non impeditemi di fare l’unica buona azione che possa far dimenticare le mie vecchie azioni barbare; aiutatemi a finire i miei giorni in pace”. Forse non avrebbe guadagnato nulla sui contendenti; forse fu lusingato di presiedere a un concilio indossando una lunga veste rossa e col capo coronato di pietre preziose.

L'imperatore Costantino presiede il primo Concilio di Nicea
L'imperatore Costantino presiede il primo Concilio di Nicea
Ecco pertanto ciò che aprì la porta a tutti quei flagelli che dall’Asia vennero a inondare l’Occidente. Ogni versetto contestato fece scaturire una furia armata di un sofisma e di un pugnale, che rese tutti gli uomini folli e crudeli. Gli unni, gli eruli, i goti, i vandali che arrivarono in seguito, fecero infinitamente meno male, e il più gran male che fecero fu infine di prestarsi loro stessi a queste dispute fatali.