Capitolo XVI

Dialogo tra un moribondo e un uomo in buona salute

Un cittadino era agonizzante in una città di provincia; un uomo in buona salute venne ad oltraggiare i suoi ultimi istanti, e gli disse:

Miserabile! Pensa subito come penso io: firma questo scritto, confessa che ci sono cinque proposizioni in un libro che né tu né io abbiamo mai letto; sii subito dell’opinione di Lanfranco contro Berengario, di San Tommaso contro San Bonaventura; abbraccia il secondo concilio di Nicea contro il concilio di Francoforte; spiegami immediatamente come le parole: “Il Padre mio è più grande di me” significhino espressamente “Io sono grande tanto quanto lui”.

Dimmi come il Padre comunica tutto al Figlio, eccetto la paternità, altrimenti farò gettare il tuo corpo nell’immondezzaio; i tuoi bambini non erediteranno nulla da te, tua moglie sarà privata della sua dote e la tua famiglia mendicherà il pane che i miei pari non le daranno.

Werkstatt Gege, Estrema unzione
Werkstatt Gege, Estrema unzione

IL MORIBONDO: Capisco a malapena ciò che mi dite; le minacce che mi fate arrivano confusamente alle mie orecchie, turbano la mia anima, rendono la mia morte spaventosa. In nome di Dio, abbiate pietà di me.

IL BARBARO: Pietà! Non ne posso avere se tu non hai esattamente le mie idee su tutto.

IL MORIBONDO: Ahimè! Voi sentite che in questi ultimi istanti tutti i miei sensi sono annebbiati, tutte le porte del mio intelletto sono chiuse, le mie idee mi sfuggono, il mio pensiero si spegne. Sono nelle condizioni di disquisire?

IL BARBARO: Ebbene, se tu non riesci a credere quello che voglio io, di’ che ci credi, e ciò mi basta.

IL MORIBONDO: Come posso giurare il falso per compiacervi? Tra un attimo sarò di fronte al Dio che punisce lo spergiuro.

IL BARBARO: Non importa; avrai il piacere di essere seppellito in cimitero, e tua moglie e i tuoi figli avranno di che vivere. Muori da ipocrita; l’ipocrisia è una cosa buona; è, come si dice, un omaggio che il vizio rende alla virtù. Un po’ di ipocrisia, amico mio, cosa volete che costi?

IL MORIBONDO: Ahimè! Voi disprezzate Dio o non lo riconoscete, perché mi chiedete una menzogna in punto di morte, voi che dovrete presto ricevere il vostro giudizio da lui, e che risponderete di questa menzogna.

IL BARBARO: Come, insolente! Io non riconosco Dio!

IL MORIBONDO: Perdonate, fratello mio, credo che voi non lo conosciate. Il Dio che adoro ravviva in questo momento le mie forze per dirvi con voce morente che se voi credete in Dio mi dovreste trattare con carità. Lui mi ha dato moglie e figli, non fateli morire in miseria. Per quanto riguarda il mio corpo, fate come volete: lo lascio a voi; ma credete in Dio, vi scongiuro.

IL BARBARO: Fa’ quello che ti ho detto, senza pensare; io lo voglio, io te lo ordino.

IL MORIBONDO: E che interesse avete voi a tormentarmi tanto?

IL BARBARO: Come! Che interesse? Se ottengo la tua firma, essa mi varrà un buon canonicato.

IL MORIBONDO: Ah! Fratello mio! Ecco il mio ultimo istante; io muoio, vado a pregare Dio che vi tocchi il cuore e vi converta.

IL BARBARO: Che vada al diavolo l’impenitente che non ha firmato! Ora firmo io per lui e imito la sua scrittura[71].

La lettera che segue conferma la stessa morale.

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NOTE:

  1.  ^  Quando scrivevamo questo, nel 1762, l’ordine dei gesuiti non era ancora stato abolito in Francia. Se fossero stati sofferenti, l’autore ne avrebbe senz’altro avuto rispetto. Ma si ricordi sempre che loro sono stati perseguitati solo perché sono stati persecutori; e che il loro esempio faccia tremare coloro che, essendo più intolleranti dei gesuiti, vorranno un giorno opprimere quei loro concittadini che non abbracciano le loro opinioni inflessibili e assurde. [Nota aggiunta nel 1771]